E’ dunque giunto il momento anche in Italia di confrontarsi con il
delicato tema dell’accessibilità dei siti web. Come già
accaduto negli Stati Uniti, anche in Italia il Governo, per voce del
Ministero della Funzione Pubblica, ha emanato la scorsa settimana una
direttiva
per la costruzione dei siti web delle amministrazioni pubbliche.
E’ soltanto una direttiva e non una legge, ma c’è da scommettere
che se verrà recepita creerà non poco sconquasso. Il documento
invita tutte le pubbliche amministrazioni a considerare il ruolo di
Internet come strumento comunicativo sia interno sia con l’esterno,
e ne sottolinea il valore strumentale di "tecnologia distribuita".
Alla luce di queste considerazioni, esorta chi realizza i siti delle
PA a rispettare le norme di:
- A. Usabilità, intesa come buona organizzazione dei
contenuti e della navigazione. - B. Accessibilità, ovvero la possibilità di
rendere accessibile i contenuti dei siti ad utenti disabili o con
dotazioni tecnologiche ristrette.
Se l’usabilità è genericamente un tema già
da tempo all’attenzione di chi realizza siti (o almeno dei più
seri fra essi), le raccomandazioni sull’accessibilità tengono
in questo caso conto dei documenti conclusivi della Conferenza Ministeriale
di Lisbona dell’Unione Europea del 20 Marzo 2000 e della conferenza
Ministeriale di Feira del 19 e 20 giugno 2000, nonché, naturalmente,
delle tecniche
per rendere i contenuti web accessibili stabilite dal WAI(Web Accessibility
Initiative), gruppo di lavoro del W3C.
Il documento ministeriale riassume le linee guida in 10 punti, recependo
di fatto in maniera sintetica le 14 linee guida del WAI, e invita le
Pubbliche Amministrazioni e chi collabora alla realizzazione dei siti
(e dunque le agenzie esterne) a mettersi in regola entro i prossimi
6 mesi!!
Diciamo subito che la direttiva ha delle carenze evidenti. Non solo
sintetizza troppo le norme WAI, ma ne tralascia in pratica i due aspetti
migliori:
1. L’insieme di linee
guida di ausilio ai progettisti: ovvero, in poche parole, un’appendice
indispensabile per spiegare a chi realizza i siti come fare per rispettare
in pratica i criteri di accessibilità. In assenza di queste linee
guida, è prevedibile che nasceranno numerose e difformi interpretazioni
dei principi. Naturalmente, è possibile fare riferimento ai documenti
del WAI, ma questo riferimento non è previsto esplicitamente.
2. L’articolazione delle norme in tre livelli di priorità,
di importanza decrescente.
Il documento del WAI, infatti, in maniera molto lungimirante aveva
identificato tre livelli di gravità nei problemi relativi all’accessibilità,
e di conseguenza tre diversi livelli di adesione alle norme.
- Priorità 1. Norme che devono essere rispettate da
tutti, pena l’impossibilità per alcuni gruppi di utenti di
accedere alle informazioni (livello A di adesione) - Priorità 2. Norme che dovrebbero essere soddisfatte,
pena una difficoltà di accesso ad alcune informazioni da parte
di uno o più gruppi di utenti (livello AA) - Priorità 3. Norme che potrebbero essere soddisfatte,
con l’obiettivo di rendere ancora migliore l’accesso a uno o più
gruppi di utenti (livello AAA).
Lo scopo appare evidente, ed è per una volta evidenziato
in modo molto pragmatico e tuttavia non riduttivo dallo stesso Jakob
Nielsen: poiché adeguare il sito al rispetto completo delle
norme è molto complicato, soprattutto per i siti esistenti di
una certa entità, la definizione delle priorità consente
almeno di iniziare a pensare al primo livello di compatibilità.
Il consiglio di Nielsen è quello di rendere compatibile subito
al livello A almeno l’home page e le pagine nuove.
In seguito, di avvicinare le pagine più frequentate allo stesso
livello, e iniziare a lavorare per la compatibilità per il livello
medio (AA), e così via.
Un approccio graduale, insomma, che almeno ha il merito di togliere
agli sviluppatori l’alibi del "troppo lavoro", dell’impossibilità
pratica ad affrontare il problema.
Invece la questione è prima di tutto etica: le linee guida
del WAI possono effettivamente garantire la non esclusione dal mondo
internet di varie categorie di utenti disabili.
Esse si basano su due principi:
- Garantire una trasformazione elegante delle pagine.
Attraverso l’uso di tag ALT e LONGDESC e di descrizioni uditive è
possibile almeno rendere accessibili versioni alternative di immagini
e animazioni. E’ inspensabile per garantire questo punto una buona
validazione del codice secondo direttive che purtroppo, in pratica,
non tutti i browser supportano in maniera conforme (le accuse degli
sviluppatori sembrano indirizzarsi insistentemente verso Netscape
4.7, mentre la versione 6 è decisamente migliore, ma anche
per gli altri browser c’è ancora della strada da fare). - Rendere il contenuto navigabile e fruibile.
Le 14 linee guida articolate sui tre livelli di priorità servono
proprio a questo. La conformità della pagina può essere
controllata gratuitamente con il validatore presente su www.cast.org/bobby,
il quale scorre il codice HTML alla ricerca di problemi di utilizzo
del codice.
E’ bene però precisare che l’accessibilità non può
essere semplicemente verificata automaticamente. Infatti, uno dei
due principi cui fa riferimento, precisamente "rendere il contenuto
navigabile e fruibile", non può certo essere stabilito da
un programma. E, guarda caso, assomiglia molto alla sintetica descrizione
di un concetto che conosciamo già, ovvero… l’usabilità!
Alla luce di queste considerazioni, è possibile anche definire
il rapporto che intercorre fra usabilità e accessibilità,
almeno per come viene definita dal WAI. Si tratta di un rapporto di
inclusione: l’accessibilità, per essere tale, deve includere
ANCHE l’usabilità, e, oltre a questo, implementare alcune
norme di buona codifica HTML.
Non è dunque vero, come si sente alle volte, che l’accessibilità
è uno dei prerequisiti dell’usabilità. E’ semmai vero
il contrario (l’usabilità è un prerequisito dell’accessibilità),
e ne consegue che rendere un sito accessibile è decisamente
più difficile che renderlo usabile. E comunque, per rendere
un sito accessibile, diventa indispensabile condurre dei test di usabilità.
L’usabilità, dunque, si dimostra ancora una volta fondamentale
per un accesso più democratico al web, contrariamente
a quanto sostengono certe accuse di conservatorismo che periodicamente
si vede affibiare da chi, forse, ha altre preocccupazioni e non la conosce
poi troppo bene.
Ma quanto difficile è rendere un sito accessibile? Quante
rinuncie si debbono fare? In realtà, dipende. Dipende dal livello
cui ci si vuole uniformare. Seguendo i consigli di Nielsen, per esempio,
non ci sono poi troppe rinuncie da fare per rendere una pagina conforme
al primo, più serio livello di priorità. La home
page di Usabile.it, per esempio, che non è stato progettato
per l’accessibilità, è ora perfettamente aderente al Livello
A delle norme. E l’apparenza è assolutamente identica a prima.
Non vi sono dunque rinunce così pesanti da fare: qualunque
pagina compatibile con un browser di terza generazione può facilmente
essere resa accessibile. Le rinunce più dolorose, probabilmente,
riguardano l’interattività client-side (essenzialmente tramite
l’uso di script Javascript: viene richiesto il tag <NO SCRIPT>,
che ovviamente può non bastare per fornire alternative a contenuti
dinamici). Ma si tratta di funzionalità che possono spesso essere
tranquillamente sostituite con una buona programmazione server-side
e con l’uso di programmi CGI.
Per farsi una prima idea delle difficoltà che si incontrano possono
esser utili i quick
tips (consigli rapidi) del WAI.
Per concludere, va notato che negli Stati Uniti l’accessibilità
è considerata un vero e proprio diritto civile (come di fatto
è) dalle associazioni dei disabili, che dopo varie battaglie
hanno ottenuto che, con la normativa denominata sezione
508, tutti i siti e le intranet della governative siano conformi
alle norme sull’accessibilità. Questo ovviamente è anche
un vantaggio per il governo, che ha tutto l’interesse che un dipendente
disabile riesca ad utilizzare proficuamente il sistema informativo interno
ed esterno durante il lavoro. La norma dà tempo agli sviluppatori
fino al 21 giugno 2001 affinché si adeguino.
Sebbene questa regola non valga per il settore privato, tutte le agenzie
che riceveranno incarichi dalle pubbliche amministrazioni (ricerche,
consulenze), se richieste di mettere a disposizione del pubblico i dati
risultanti dall’incarico, lo dovranno fare in parti del proprio sito
realizzate seguendo la stessa norma.
Una lista di chiarimenti su questo argomento (in lingua inglese) è
disponibile
on-line seguendo questo link.