I tempi cambiano. Due anni fa non era possibile nominare l'usabilità senza essere guardati un po' di traverso, come visionari provenienti da un altro pianeta. Marte, forse. Oggi non c'è azienda che non dichiari, almeno formalmente, la propria grande attenzione nei confronti dell'usabilità. Tutto bene, dunque? L'usabilità ha vinto la prima battaglia, come dice Nielsen?
Negli Stati Uniti, forse. In Italia, non sarei così ottimista. Non c'è dubbio che vi sia un grande interesse, prima assente, per le tematiche dell'usabilità. Tuttavia, per motivi anche comprensibili, l'usabilità rimane in gran parte una disciplina sconosciuta o (quando va bene) fraintesa. Alcune aziende hanno la tendenza a formare – a volte soltanto attraverso letture – all'interno del proprio staff una persona che ha sempre svolto un altro ruolo, affinchè diventi il referente per l'usabilità. Non c'è nulla di male, anzi: è una pratica positiva. Purtroppo, però, spesso questa persona non ha alcuna formazione metodologica, e finisce per dare dell'usabilità la visione più compatibile possibile tra ciò che legge e la sua formazione di base, sia essa legata al design, al marketing, o alla produzione di codice. Queste tre aree di competenza sono tutte relate in qualche modo all'usabilità, ma non sono l'usabilità.
Inoltre una persona interna all'azienda è inevitabilmente sottoposta a tensioni e conflitti fra reparti e ruoli. Di conseguenza, potrebbe trovarsi a dover mediare fra ciò che dell'usabilità ha imparato e il minor danno possibile per la sua posizione.
D'altra parte, mancano i corsi qualificati che possano colmare le lacune ed evitare che dell'usabilità passi una visione parziale o distorta. Le università si occupano di usabilità web da poco, e ci vorrà ancora un po' di tempo per colmare il fisiologico gap formativo e culturale esistente in Italia. Nel frattempo, l'usabilità è una disciplina ancora debole, in balìa delle correnti e delle distorsioni che qualcuno, involontariamente, può operare.
"Lasciamolo fare al grafico…"
Uno dei fraintendimenti più diffusi, ad esempio, è che l'usabilità non sia che un elenco di regolette da applicare in fase di design – e quindi se ne può occupare benissimo il graphic designer, che spesso già vede (a causa di altro un gap formativo) l'usabilità come il fumo negli occhi…
Ne abbiamo già parlato in un articolo, e vi rimandiamo a quello per approfondire ciò che pensiamo dei decaloghi, di usabilità e non. Ciò che ci interessa dire qui è che le regole sono estremamente utili come linee guida, ma vanno applicate con cura e flessibilità ai casi specifici, e in ogni caso dovrebbero essere considerate in fase di progettazione precoce, non certo in quella di graphic design! In fase di design, spesso, molte scelte sono già state fatte, e non si può che rivestirle con un costume più o meno elegante o appariscente. A volte è meglio di niente (e 'poco' in questo campo è sempre molto meglio di 'niente'), ma un intervento serio di usabilità è un'altra cosa: va operato fin dalle fasi precoci del progetto, a partire dalla definizione degli obiettivi, dei contenuti e dell'architettura informativa.
Compatibilità tecnica: "segui le mie indicazioni e tutto andrà bene"
Un'altra delle convinzioni errate è che l'usabilità sia una questione di compatibilità (o di accessibilità…). Capita di vedere siti che, alla voce 'usability info', presentano la configurazione ideale che deve avere il computer dell'utente per visualizzare correttamente il sito! Risoluzione, browser, plug-in, e via dicendo…
Spero di non dover convincere i lettori di Usabile di quanto questa visione sia lontana, se non addirittura contraria, ad una reale usabilità. L'usabilità non può permettersi di dire: utente, segui queste regole e andrà tutto ok, ma deve, al contrario, capire quali sono le regole implicite dell'utente, e adeguarvisi per poter comunicare con lui!
Non dimentichiamoci che la maggior parte degli utenti non sa nemmeno con quale browser sta viaggiando. Non parliamo dei plug-in o della risoluzione, che solitamente vengono mantenuti nella configurazione di default. E continuamente, quando chiedo a qualche conoscente (che naviga in internet, ma si occupa d'altro) se utilizzi un Mac o un PC, mi sento rispondere, con un senso di vago smarrimento appena dissimulato, "Mah, per lo più uso Word…".
"Chiedi e (non) ti sarà detto…"
Ma l'ultima e forse più pericolosa idea errata sull'usabilità è che si possa 'chiedere direttamente all'utente'. E che, quindi, si possa valutare rispondendo ad una semplice serie di domandine del tipo si/no. Ovviamente l'utente non ha alcuna conoscenza di cosa gli complica o meno la vita, in relazione ad un sito che magari (quando va bene) ha appena visto!
La verità è che l'usabilità la si capisce soltanto osservando gli utenti alle prese con il sito (lo ripeteremo fino alla nausea)! L'osservazione diretta non può in nessun caso essere sostituita da una serie di domande o da un'intervista. Per il semplice motivo che le persone dicono una cosa, ma ne fanno un'altra.
Non per cattiveria, ma perché a livello cognitivo la conoscenza su una procedura si forma dopo il suo utilizzo. L'utilizzo è l'unico indicatore reale di usabilità. Solo utilizzando un sito la persona compie gli atti che ci interessano, ed al limite, poi, esprime considerazioni che possiamo collocare in un quadro complessivo sensato.
Che le dichiarazioni degli utenti non corrispondano ai comportamenti è cosa nota alle discipline psicosociali. E' anche per questo che in pubblicità è difficile stabilire un legame ferreo fra l'atteggiamento verso un prodotto e l'effettivo comportamento d'acquisto. Allo stesso modo, valutare un sito semplicemente mostrandone l'interfaccia e chiedendo un parere, non ci dice nulla sulla sua usabilità, perché la persona che stiamo interpellando non ha usato il sito e dirà quello che crede ci faccia piacere sentire, o quello che pensa direbbe una persona intelligente, o si concentrerà su qualche dettaglio che colpisce la sua attenzione e che potrebbe non avere alcun ruolo durante l'esecuzione di un compito preciso.
Confrontare le risposte con le prestazioni
Le dichiarazioni degli utenti sono tuttavia utili in alcuni casi. Ad esempio, dopo aver eseguito una serie di compiti sul sito, può essere interessante indagare sulle difficoltà incontrate e sulle aspettative. Tuttavia, è bene non fidarsi ciecamente nemmeno di queste dichiarazioni. I motivi sono diversi:
- nel caso di suggerimenti spontanei, non è detto che ciò che l'utente vorrebbe sia ciò che effettivamente gli serve. Spesso le indicazioni vengono da desideri dell'utente, ma questi desideri attengono soprattutto alla sfera delle sue aspirazioni, piuttosto che a quella delle esigenze d'uso concrete.
- quando si tratta di spiegare un errore o una difficoltà, entra in gioco un meccanismo di difesa che può portare alla razionalizzazione dell'errore.
- Più banalmente, può capitare che il resoconto dell'errore sia semplicemente viziato da un difetto di memoria. La memoria umana non è soltanto fallace: è ricostruttiva. Modifica cioè i ricordi per adattarli ad una spiegazione del mondo che nel frattempo ci siamo costruiti.
Allo stesso modo, diventa chiaro che interviste e questionari andrebbero somministrati solo in casi particolari, dopo l'utilizzo del sito, e andrebbero confrontati con le prestazioni ottenute per verificarne la correlazione. Nielsen trova ad esempio una correlazione di 0.44 fra le preferenze degli utenti e il loro successo nelle prestazioni. Ma, sebbene sia un coefficiente discreto, 0.44 significa che tra le preferenze espresse vi è una grossa componente che non è correlata alle prestazioni! Il che può essere spiegato in molti modi, ma va certamente indagato.
Nei miei test ho rilevato ad esempio che il giudizio sulla gradevolezza grafica di un sito da parte dei soggetti può essere nettamente positivo anche quando le loro prestazioni sono state estremamente scadenti! Addirittura, vi sono casi in cui non vi è piena consapevolezza di quanto scadente sia stata la prestazione (e quindi non sono del tutto affidabili nemmeno le dichiarazioni che seguono, se non come indicatori della forza della mancata comprensione). Tale risultato è coerente con altri presenti in letteratura (uno famoso è la ricerca di Jared Spool, risalente ormai al 97: sembra che le cose non siano molto cambiate, nonostante il miglioramento dell'aspetto generale dei siti).
E' necessario dunque scindere i due aspetti: quello prestazionale e il giudizio estetico. I due possono anche andare di pari passo, ma non lo fanno necessariamente. L'uno non è dunque un buon indicatore dell'altro. Ed è anche per questo che l'usabilità non può essere delegata ai graphic designer: perché non è di loro competenza.
A seguito di queste considerazioni, diventa anche evidente che strumenti di analisi degli atteggiamenti e delle opinioni come i focus group, di cui troppo spesso si sente ancora parlare, sono completamente inadeguati in un buon piano di ricerca di usabilità. Sono ottimi per identificare aree di interesse in un contesto di interazione di gruppo, delle quali tenere conto quando si deve preparare o posizionare un prodotto, e quindi anche un sito. Ma il successo di un sito dipenderà solo in parte da questo posizionamento. Esso dipenderà in misura addirittura schiacciante dalla capacità del sito di soddisfare le esigenze d'uso dell'utenza. Queste esigenze potrebbero essere rimaste completamente latenti in un focus group, anche condotto benissimo.
Test e analisi
I test con soggetti sono dunque l'unico strumento realmente valido per valutare l'usabilità? Sì e no. I test sono indubbiamente insostituibili. Ma quello che ci preme sottolineare qui è che, se non si possono fare i test, è meglio affidarsi alla valutazione di un esperto, che ha competenze precise di usabilità e sa cosa analizzare, piuttosto che chiedere dei semplici pareri a persone che non hanno utilizzato il sito.
Dei buoni esperti di usabilità (preferibilmente specializzati sul web, che è un dominio molto diverso da quello software) possono contribuire fortemente al miglioramento di un sito anche solo attraverso una buona analisi euristica, perché sovente le prime versioni delle interfacce hanno talmente tanti problemi, che sarebbe un peccato bruciare a quel punto dei soggetti che potrebbero tornare preziosi in un secondo momento. Ma è appunto solo attraverso l'osservazione strutturata dell'interazione fra sito e utente che si traggono informazioni realmente decisive e puntuali dagli utenti.
La piena maturità dell'usabilità in Italia si avrà soltanto quando le aziende capiranno la differenza che c'è fra informarsi semplicemente sull'usabilità e farla in concreto… e soprattutto farla bene! Solo allora i siti prodotti mostreranno decisi miglioramenti e l'esperienza dell'utente potrà essere un po' più soddisfacente come da tutti auspicato.