Gmail, il principio di visibilità e le strategie dietro alle modifiche dell’interfaccia

Le recenti modifiche all’interfaccia di Gmail, nell’ambito di una generale ristrutturazione di tutta la famiglia di prodotti, ci offrono un buon esempio dell’applicazione del principio di visibilità che non corrisponde a quello di comprensibilità.

In cima alla pagina di Gmail compare ora una barra con testi, icone e immagini. Tutte ben visibili. Ma quanto comprensibili?

L’icona con la griglia di nove quadratini prima del simbolo del campanello è in realtà il link di accesso alle altre applicazioni della famiglia (calendar, drive, ecc.). In passato questi link erano sempre nella barra in alto, ma mostrati in modo molto più comprensibile.

In precedenza le applicazioni più usate erano elencate come link in cima alla pagina.

Nella vecchia versione, venivano rispettati sia il principio di visibilità che quello di comprensibilità (talvolta in inglese lo chiamano clearity). Le etichette verbali sono infatti quasi sempre più comprensibili delle icone!

Non solo: i link erano blu, come da convenzione web, seguita da google fino a non molti mesi fa. La nuova interfaccia ha dei pregi:

  1. E’ visivamente più ordinata, moderna ed elegante
  2. Occupa meno spazio in pagina
  3. Probabilmente aumenta un po’ la playability (il cui impatto però al momento è difficile da stimare), dato che fa uso di tendine dinamiche interattive

Ma ha anche alcuni difetti:

  1. Rende meno visibili i link diretti alle singole applicazioni
  2. Non rende facilmente comprensibile che l’icona con la griglia di quadratini è un accesso alle varie applicazioni della famiglia
  3. Rende l’accesso a tutte le applicazioni meno efficiente. E’ necessario infatti almeno un click in più (e quindi tempo in più) per accedere da gmail a qualsiasi applicazione

A prima vista, sembra che la soluzione abbia più difetti che pregi. Va dunque giudicata negativamente? Dipende.

Non solo usabilità

Le scelte di interfaccia, in particolare quelle dei player dominanti, non sono infatti dettate da semplici obblighi di efficacia, comprensibilità ed efficienza locali. Hanno anche l’obbligo di gestire e facilitare il passaggio di utenti di un prodotto magari già ad alta adozione ad altri prodotti dell’azienza.

La ristrutturazione può dunque avere come obiettivo anche quello di identificare una serie di convenzioni di UI che siano riconoscibili e comprensibili in diverse applicazioni. Non solo in Gmail. Se per esempio:

  • l’icona con i 9 quadratini disposti a griglia è un’icona che viene usata su diverse applicazioni;
  • e magari anche su diversi canali, ad esempio nel sistema operativo Android;
  • e uno degli obiettivi di Google è quello di familiarizzare gli utenti con le proprie icone per renderle un linguaggio universale;
  • se tutte queste ragioni o altre simili sono state prese in considerazione,

allora una diminuzione di usabilità locale (su una applicazione già molto usata come Google, e su una feature tutto sommato non primaria) viene giustificata con un aumento di awareness e conoscenza generale su un intero ecosistema.

Detta in altre parole: le scelte di interfaccia sono dettate anche da scelte strategiche.

Questione di strategia

L’usabilità è nella relazione fra un utente e un prodotto. Il disegno di un’interfaccia risponde a regole di usabilità, ma anche a regole più generali: di tipo strategico, appunto. E vi può essere un bilanciamento fra le due.

Non siamo addentro ai piani di Google, ma l’esempio ci serve per sottolineare qualcosa che ai neofiti non sempre è chiaro: l’usabilità non è la proprietà assoluta sulla quale basare ogni scelta. Purché le altre ragioni siano giustificate. Non l’opinione di qualcuno, insomma: sia esso il grafico o il programmatore, ma comportamenti attesi.

Certo, la strategia può rivelarsi vincente o meno. Può darsi che in questo modo aumentino le richieste di assistenza di utenti che non capiscono. Può darsi che l’icona sia contemporaneamente usata da un concorrente con un altro significato, generando confusione negli utenti e vanificando così la strategia. Possono insomma darsi molte cose. Può anche darsi che il passaggio alle altre applicazioni fosse usato solo da utenti esperti e dunque ne sia stato ridotto l’impatto, certi che quegli utenti fossero in grado di trovarlo.

Chi fa scelte strategiche valuta il rischio, fa previsioni valutabili e risponde delle conseguenze.

Mentre l’usabilità si basa su dati più o meno oggettivi (è oggettivo che la nuova interfaccia sia meno efficiente della prima, relativamente a quel task; ed è misurabile se dà vita a minor uso delle altre applicazioni o ad un maggior ricorso all’assistenza), la strategia è spesso una scommessa ragionata. Può rivelarsi vincente o perdente. Si basa sul tentativo di modificare il comportamento degli utenti, in questo caso non solo con una particolare applicazione, ma su un’intera famiglia di prodotti.

L’esperto di usabilità dovrebbe aiutare chi prende le decisioni

Chi attua una strategia ne risponde. L’usabilità offre ai decisori una serie di dati e di considerazioni sul bilanciamento dei vantaggi e degli svantaggi. Chi fa usabilità sbaglia se pensa di determinare con le proprie valutazioni ogni genere di scelta. L’usabilità, le valutazioni e i test con gli utenti sono come un termometro. Offrono dati a chi deve decidere. A volte questi dati non lasciano molto margine: è evidente che una certa scelta è superiore ad un’altra.

Ma altre volte possono giustificare più possibili linee d’azione.

Detto questo, non so dirvi se la scelta di Google paghi. Ma è un ottimo esempio per distinguere chiaramente fra usabilità e scelte strategiche che rispondono a logiche più ampie. Anche in campo consulenziale, spesso i capi progetto sono chiamati a decidere sulla base di dati che forniamo, ma non solo sulla base di quelli. Loro devono capire quali dei dati che portiamo sono chiaramente non opinabili, cioè delineano una soluzione sicuramente e in ogni caso prevalente, e quali invece giustificano più possibili condotte.

Ma sta anche noi, come specialisti di usabilità, essere consapevoli che questa è la partita, non fare i tiranni scollegati da un progetto, e, anzi, aiutare chi deve fare le scelte spiegando e fornendo dati che le supportino o smentiscano.

Update del 17 novembre:

In questo gustoso articolo di un ex-dipendente di Google, si racconta come il primo redesign di Gmail di due anni fa abbia scatenato furiose reazioni da parte dei dipendenti, i primi a valutarlo. E che in realtà le scelte sono state fatte proprio per tener conto dell’utente medio, che riceve 5 mail al giorno e non usa nessuna delle feature avanzate. A ricordarci che l’usabilità è fatta di scelte. La strategia in questo caso è quella di migliorare l’usabilità di altre feature per utenti molto diversi da quelli professionali. E di far partire lo sviluppo dell’imminente Inbox, di cui forse avete sentito parlare.

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2 thoughts on “Gmail, il principio di visibilità e le strategie dietro alle modifiche dell’interfaccia

  1. Ciao Maurizio, permettimi di aggiungere qualche osservazione sul restyling dal punto di vista di un designer e non di un esperto in usabilità. In che misura l’esperienza utente e l’usabilità sono cambiate al pari del crescente utilizzo quotidiano delle stesse applicazioni su device mobile? Probabilmente è una domanda che dovremmo porci durante l’analisi. Credo che la capacità e la semplicità di utilizzo di un’applicazione desktop sia ormai influenzata da alcuni elementi che nascono in ambienti di progettazione dedicati al mobile e non più viceversa. L’iconografia ha di fatto ormai un ruolo prioritario e ci sarebbe da chiedersi se in termini di efficienza sia una scelta ragionevole o se sia semplicemente un trend spinto da aziende come la Apple che, a proposito di interfaccia intuitiva, hanno fatto scuola basando i loro design sull’utilizzo delle icone. Possiamo quindi considerare realmente un difetto che i link alle applicazioni non siano immediati quanto prima o dobbiamo piuttosto arrenderci all’evidenza che la capacità di utilizzo delle applicazioni stesse sia realmente cambiata e che nella maggior parte dei casi abbiamo a che fare con utenti ormai esperti? Dobbiamo inoltre ritenere quel “click in più” realmente inefficiente tenendo in considerazione che in molti casi (per non dire nella maggior parte) le stesse applicazioni sia utilizzate sui device mobile? Nel caso di Google abbiamo a che fare con un’implementazione continua di nuovi prodotti o features (notifiche, tabs di categoria, aggiornamenti di stato e collegamenti con social). L’ulteriore domanda che mi pongo è quanto abbia pesato questo fattore e la mia risposta è “si, abbastanza da definire il più possibile delle aree di raggruppamento delle funzionalità”. Cosa che non avrebbe funzionato mantenendo la navigazione prevalentemente testuale. Spero di non aver detto delle banalità, grazie per la condivisione del tuo interessate articolo e a presto!

  2. Ciao Sergio, grazie del commento. Dici che il contesto mobile influenza la progettazione desktop? Sì, proprio perché Google ha interesse a spingere l’utilizzo di un ecosistema e di rendere coerenti le forme di interazione.
    Poi: dobbiamo realmente considerare un difetto che i link alle applicazioni non siano immediati quanto prima? In termini assoluti, sì. Ciò non toglie che il difetto possa essere bilanciato da altri pregi (coerenza, riconoscibilità fra sistemi diversi).

    Utenti diversi hanno gradi diversi di confidenza con l’ecosistema. Gli utenti Android si troveranno bene. I vecchi utenti solo desktop meno bene, come dimostrano le reazioni viste qui

    Un’altra cosa da ricordare è che pregi e difetti delle icone sono noti dagli anni ’70. In sintesi: sono poco comprensibili ma molto riconoscibili. Se l’icona dei quadratini fosse accompagnata da una label testuale “more apps…” subito sotto, la comprensibilità sarebbe aumentata pur mantenendo l’uso delle icone.

    E’ questione di bilanciamento, proprio perché l’usabilità non è assoluta ma relativa a specifici utenti. Google ha fatto una scelta strategica, privilegiando alcuni aspetti (e alcuni utenti) sugli altri. Ha il peso per farlo. Chi usa le sue app difficilmente passa ad altre alternative, perché non ce ne sono, non con le medesime integrazioni e i medesimi vantaggi. Anche questo aspetto va tenuto presente quando troviamo “naturale” o “moderna” un’evoluzione. La maggior parte dei progetti su cui lavoriamo noi non ha queste caratteristiche.

    Conoscere quelle dei player dominanti è indispensabile, poiché determinano le tendenze ed è su di essi che l’utente si forma le sue principali abitudini. Ciao!

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