Ho imparato a fare il caffé da poco, e subito mi hanno regalato una caffettiera programmabile, che rende quasi inutile il mio intervento. Ora però devo ricordarmi almeno di comprarlo, il caffé. Cosa nient’affatto ovvia, per uno che esce senza il portafoglio, per poi accorgersi una volta risalite a balzi le scale di averlo nell’altra tasca (“oh, ma quello non era il cellulare?”… Eh, no. A proposito: il cellulare dov’è?).
Ma devo essere proprio un ex-ragazzo fortunato, perché fra poco non avrò più bisogno nemmeno di preoccuparmi di comprare il caffé. Ci penserà Poppy Pour-Over, una caffettiera a caduta che si accorge da sola quando si consuma il filtro e soprattutto… quando finisce il caffé. E piazza l’ordine al posto mio! Tutto online, naturalmente, via wi-fi casalingo, attraverso un’app sullo smartphone (ammesso che mi ricordi dove stia), sfruttando un’API di Amazon. L’API si chiama Dash Replenishment Service ed è l’ultima trovata di Jeff Bezos.
Si tratta di un’applicazione dell’Internet of Things, l’Internet delle cose che vedrà sempre più oggetti di uso comune collegati alla rete per comunicare il loro stato ad un server che ne consentirà la gestione in remoto.
Save the cat
Detto così sembra utile. Potrò non finire mai il toner della stampante. Potrò rendermi conto di quando l’automobile sta per guastarsi (a proposito: dove ho messo le chiavi?… oh, be’, ci sarà un’app anche per quello). Potrò essere sicuro che il gatto abbia sempre di che mangiare (a proposito: dov’è il gatto? Ah, no, quello non ce l’ho…).
Il Dash Replenishment Service è anche il servizio che sta dietro agli Amazon Dash Button, bottoni brandizzati da appiccicare negli armadi, sulla lavatrice, in cucina, che ci aiutano a piazzare un ordine di un detersivo, di un cibo o di una bevanda di cui stiamo terminando le scorte. Cosa? Il bottone dobbiamo premerlo noi? Lo so, è una seccatura, ma è un servizio appena nato: vedrete che con il tempo il nostro intervento non servirà più…
- Un esempio di Amazon Dash Button. Premetelo e riceverete una scorta di dolcetti al cocco. O di detersivi. Dipende dal Paese nel quale vi trovate…
Così Amazon si sta preparando a colonizzare la nostra casa, senza più bisogno di occhieggiare dagli schermi di computer e tablet. Così tenta anche di stabilire un primato sull’Internet of Things. E di aiutarci con la nostra proverbiale sbadataggine.
I soliti pessimisti alla riscossa
Però. C’è un però, no? Be’, secondo alcuni sì. Mark Resnick, un professore della Bentley University, per esempio, fa un elenco di osservazioni sulle quali vale la pena di soffermarsi un attimo.
Non prevenzione dell’errore, ma suo recupero
Amazon sottolinea che gli acquisti così piazzati genereranno un messaggio sullo smartphone. Così l’utente potrà eventualmente annullarli. In caso di errore, o di ripensamento.
Buona cosa: in fondo non stanno decidendo per noi, giusto?
In realtà questo non è un meccanismo di prevenzione dell’errore, ma piuttosto di eventuale recupero dell’ordine indesiderato. La differenza è che nella prevenzione dell’errore, l’ordine di default non viene piazzato: richiede la conferma dell’utente. Qui invece il default è l’ordine. Se l’utente non fa nulla, se non nota il messaggio o lo cancella per sbaglio, l’ordine viene mandato avanti.
Il cambio del default è assolutamente significativo. Ci sono ricerche (piuttosto ovvie, ma ci sono…) secondo le quali un processo di acquisto privo di passaggi e scelte per l’utente aumenta le transazioni.
Nessuna comparazione
Viene eliminata ogni possibilità di comparazione del prezzo: si acquista da Amazon, qualunque sia il prezzo.
Fidelizzazione by default
Viene eliminata l’occasione per passare da un brand all’altro. E sappiamo quanto questo stia a cuore ai brand. L’ideale di ogni brand è diventare un monopolio de facto. Questo sistema dà ad Amazon una forte posizione di controllo sui brand stessi.
Pubblicità gratis
I Dash Button riempiono la casa di brand, visibili da tutti 24 ore al giorno 7 giorni su 7, svolgendo così anche una funzione promozionale e di rafforzamento del brand. Si potrebbe dire che la stessa funzione ce l’abbiano le etichette dei prodotti. Ma quando i prodotti vengono gettati, il brand viene gettato con essi. Mentre i Dash Button sono pensati per essere permanenti.
Il sistema operativo della nostra vita
C’è un potenziale di paternalismo tecnologico [PDF] in questi servizi che automatizzano i compiti allontanando dalla nostra consapevolezza e dalla nostra attenzione le scelte. Sono prodotti e servizi progettati per farci comprare di più scegliendo meno. Sempre più in background, proprio come in background il nostro sistema operativo si aggiorna quando lui ritiene ce ne sia bisogno.
- Un’opzione il sistema ce la offre. Riavviare subito, o automaticamente fra 10 secondi?… Siamo noi a scegliere!
La metafora non è casuale perché tutta l’Internet of Things non è altro che la creazione di una specie di grande sistema operativo in background che mette in rete oggetti che prima non lo erano, favorendo lo spostamento di alcune scelte lontano dalle persone e sempre più vicine ad un algoritmo.
L’eliminazione o la riduzione del fattore umano non avviene necessariamente per costrizione, ma anche solo influenzando le probabilità di scelta cambiando i default. L’utente può (nei casi migliori) sempre optare per una scelta diversa dal default. Ma:
- Deve ricordarsene
- Deve avere il tempo o le competenze per formulare una scelta diversa
- Deve fisicamente farla (mentre per il default non deve fare niente!)
Mentre se non fa niente, non ne riceve nessuno svantaggio apparente.
Agire è più costoso che non agire
È un paternalismo tecnologico “light”, o libertario. È quello in cui la tecnologia suggerisce senza obbligarci, ma impostando dei default che rendono più probabili certe azioni.
Sappiamo che un’impostazione di questo tipo è persino utile, ad esempio per spingere verso comportamenti salutari una fascia di popolazione. Allo stesso modo, può essere usata per scopi meno nobili.
Attraverso un accorto uso della behavioral science, di una progettazione persuasiva, di studio dei processi cognitivi, ora anche i prodotti di uso comune verranno sempre più progettati per influenzare il nostro comportamento economico di default, a meno che noi attivamente non agiamo. E agire è sempre più costoso (cognitivamente, ma non per il nostro portafoglio…) che non agire.
Perciò quasi quasi non agisco: evito di comprare il Poppy Pour-Over. È sicuramente più semplice che annullare ogni settimana il messaggio sulla nuova fornitura che mi arriverà sullo smartphone…
Ora speriamo solo che nessuno me lo regali!
Devo dire che quando ho letto per la prima volta la notizia (oltre a pensare che fosse un pesce d’aprile) ho provato sensazioni contrastanti. Effettivamente l’idea di tappezzarmi la casa di pubblicità con questi bottoni non mi piace e l’idea di controllo che questo meccanismo sottintende neanche. Però sono curiosa e ho dei marchi che compro in maniera selettiva (della serie ormai li ho provati tutti e ho scelto quello che preferisco), per cui la limitazione non mi turba. Mi turba invece non poter scegliere l’offerta migliore e in parte mi da fastidio rinunciare ancora ad allenare la mia memoria (ormai sembra che l’unica soluzione per ricordare per me siano gli alert che mi metto sullo smartphone…). Ovviamente questo discorso vale per me, e condivido il punto di vista di Mark Resnick e in parte anche la posizione sul paternalismo tecnologico. Questo però non mi impedirà di aderire all’iniziativa (sono troppo curiosa) se e quando sarà disponibile anche in Italia.
Sono certo che molte persone aderiranno, in una forma o nell’altra, e che prima o poi aderiremo tutti. Un po’ come quando si resisteva all’adozione dei cellulari prima e degli smartphone poi (buffo pensarci oggi, ma la storia si ripete sempre). Come osservi anche tu, d’altra parte, tutte queste possibilità inevitabilmente portano con sé delle limitazioni e delle modifiche di scelte e comportamenti. Mi interessa molto capire come le affronteremo. Perché arriveranno prima che riusciamo a valutarle pienamente e anche ad accorgercene. E mi interessa anche capire se porteranno con sé un monopolio naturale fra le aziende che se ne occupano, anche sotto forma di servizi di aggregazione.
ho paura 😀 credevo fosse un pesce d’aprile hihihi
ps riscopro solo ora che hai ripreso a scrivere più assiduamente sul blog. un bentornato a te (ma forse più a me! )
Ciao Laura. Sì, ho ripreso da qualche mese e… no, non è un pesce d’aprile! Bentornata anche a te, allora! 😉