Design pattern, antipattern e dark pattern nelle interfacce

I pattern sono configurazioni di soluzioni di design mirate a risolvere problemi comuni. Dall’architettura, dove sono stati ideati nel 19677 con il libro A pattern language dall’architetto e urbanista Christopher Alexander come un modo per catalogare e descrivere soluzioni consuete e utili a problemi ricorrenti (in realtà l’obiettivo era più ambizioso: quello di definire un linguaggio per i problemi di design e le soluzioni) i pattern si sono estesi al mondo del software (i software design pattern, in particolare nella programmazione a oggetti), e infine al mondo del design di interfacce.

Esempi di pattern online

Fra gli archivi online di pattern di interfaccia segnaliamo questa collezione che li divide per categorie e offre un bel po’ di esempi utili per i nostri problemi di UI design.

Un altro grande e storico repository che contiene anche molti esempi è Welie.com.

In entrambi i casi si noterà che alcuni sembrino datati: dipendendo sia dalle tecnologie che dalle mode, i design pattern in qualche modo evolvono, e alcuni cadono nel dimenticatoio per essere sostituiti da alcuni nuovi più adatti al nuovo contesto. Si pensi alla navigazione a doppio tab, oggigiorno praticamente scomparsa non perché non sia utile, ma perché difficilmente adattabile al contesto mobile.

Molti di questi pattern infatti sono specifici di una tecnologia, mentre oggi avrebbe senso non solo descrivere un pattern, ma anche il suo adattamento a diversi contesti fruitivi, desktop vs mobile in primis, ma non ho notizia di cataloghi che facciano questo.

Il lato oscuro dei pattern

Antipattern

Con il termine antipattern si descrivono solitamente dei pattern… negativi, nel senso che non ottengono il risultato ma creano problemi. Errori tipici di programmazione per quanto riguarda il software. Gli antipattern di interfaccia tipici sono… tutte le cose che non bisogna fare: inserire un’immagine di contenuto senza testo alternativo, un bottone funzionale solo con l’icona e privo di etichetta verbale. O usare un oggetto cliccabile (un link, un bottone) con un’area troppo piccola, che non tiene conto della legge di Fitts.

Dark pattern

Gli antipattern non vanno confusi con i dark pattern. Questi sono soluzioni di interfaccia pensate per ingannare l’utente e fargli fare cose che non vuole, ma che tornano utili solo al gestore del sito o dell’app. Non si tratta insomma di errori, ma di deliberati tentativi di ingannare l’utente.

Harry Brignull, che viene considerato l’ideatore del termine, mantiene un catalogo di dark pattern divisi in categorie.

Si va da:

  • l’”infilato nel carrello” (sneak into basket), quando ci troviamo nel carrello spese di spedizione o altri servizi non presenti nel costo del prodotto ma indispensabili per completare l’acquisto,
  • al “roach motel” (trappola per insetti, ma per assonanza anche una sorta di hotel Californa, dove si arriva ma da cui non si riesce a scappare), quando siamo incastrati in abbonamenti che non riusciamo a disdire (a me è capitato)
  • fino agli annunci pubblicitari mascherati da parti del sito (ad esempio il bottone “download” per scaricare quel bel font è in realtà un link a un altro sito malevolo, mentre il vero download è in basso, piccolo e nascosto…),
  • o a quei brutti tentativi di Windows 10 di farvi aggiornare il sistema operativo semplicemente chiudendo la finestra, come se fosse un consenso invece che un “annulla”.

Vi consiglio veramente di leggervele tutte. Troverete con buona probabilità situazioni nelle quali siete sfortunatamente già incappati.

Etica del design: un tema per il presente e il prossimo futuro

In rete si sta sempre più spesso parlando di etica del design, perché sono sempre di più i casi in cui le interfacce ingannano di proposito, sfruttando appunto pattern ingannevoli. Ne parla lo stesso Brignull in un articolo del 2011 su Alistapart.

Diversi eventi dello scorso World Usability Day erano orientati a parlare di interfacce “buone o malvagie”.

David Carroll, un professore di nuovi media statunitense che sta tentando un’azione legale in Gran Bretagna per riavere i propri dati rubati nel caso Cambridge Analytica, tentando così di porre l’attenzione sull’inadeguatezza etica (e normativa) delle grandi compagnie tecnologiche, ritiene che il mondo della UX abbia bisogno di un codice etico, e forse di qualche modifica normativa.

Noi ne abbiamo già discusso su Usabile.it parlando di interfacce che mentono (e con il recente caso di Intuit), e sottolineando come questi casi possano essere sempre scoperti solo a danno fatto, mentre, trattandosi di azioni progettate dalle stesse aziende (non compiute da qualche intruso o malintenzionato esterno), dovrebbero poter essere evitate a monte. Il come farlo, e quanto sia sufficiente un codice etico, o quanto modifiche normative che definiscano meglio tali comportamenti possano essere praticabili, è uno dei temi del prossimo futuro1.

Foto: Bricolage 108, Flickr, CC BY-NC-SA 2.0

1 Una proposta di legge statunitense mira a rendere illegali specifici dark pattern che riguardano la gestione dei dati personali, mentre in Gran Bretagna l’agenzia per la protezione dei dati ha proposto che alcuni “nudge”, tentativi dei social network di spingere i minorenni a compiere certe attività che consentirebbero una forte raccolta di dati personali (e bastati su dark pattern) sia resa illegale già sotto il GDPR.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *