Dipendenza da internet e depressione, uno sguardo più approfondito

Ha suscitato clamore, al solito, la notizia secondo la quale troppo internet porta alla depressione. I dati verrebbero da una ricerca dell’Università di Leeds. Ma le cose non sono proprio così chiare. E di sicuro “troppo internet porta alla depressione” è un titolo falso.

La ricerca, basata sulla raccolta di 3 diversi questionari online ad un campione di 1319 utenti, ha trovato una relazione sull’intero campione fra misure della depressione e “dipendenza da internet” misurata con il Kimberly Young’s Internet Addiction Questionnaire.

In particolare, 18 utenti sono stati classificati come “dipendenti dalla rete”. Comparandoli con un gruppo di “non dipendenti” da internet, si è scoperto che i primi avevano un profilo depressivo significativamente maggiore dei non dipendenti.

Però questo non autorizza a dire che internet causa la depressione. Questi studi indicano correlazioni: non c‘è modo di capire se è la depressione, per esempio, a causare anche una maggior dipendenza da internet. Fra le righe di ricerche del genere, però, si nasconde un’altra questione, più delicata: la dipendenza da internet esiste davvero? E, se sì, cos‘è e com‘è definita?

La dipendenza da internet esiste davvero?

Vaughan Bell, dal sito Mind Hack, ci ricorda che l’internet addiction è un concetto discusso, che a molti pare sfuggente. Il nome potrebbe essere fuorviante, e riferirsi in realtà a comportamenti che derivano da altri tipi di disturbi che provocano, appunto, anche un abuso relativo a videogiochi o internet. In questo meta-studio, per esempio, si rileva infatti come il concetto sia stato operazionalizzato in maniera difforme da diversi studiosi nel decennio 96-06. In un altro studio si mette in guardia sulla validità di un questionario simile al Kimberly Young legato alla dipendenza da internet.

Più che una dipendenza da internet, paiono infatti delinearsi diversi profili di disturbi o comportamenti disfunzionali che possono dar vita ad un’abuso della rete: quelli determinati da patologie preesistenti, ad esempio. O legati ad un utilizzo eccessivo, con comportamenti compulsivi che possono ridurre le esperienze fuori dalla rete; e magari legati a particolari periodi della vita. Solo da ultimo, è possibile delineare comportamenti che sono stimolati da caratteristiche tipiche della vita online. Legate alla creazione di identità fittizie, all’opportunità di truffe, raggiri, adescamenti. Anche in questi casi, andrebbe fatto un approfondimento circa l’eventuale pre-esistenza di comportamenti devianti o addirittura criminali nei soggetti che poi li mettono in pratica online.

In definitiva, parlare semplicisticamente di “internet addiction” sembra riduttivo. E dunque anche un’eventuale relazione con misure di depressione (rilevate solo con questionari online) va presa con le molle.

Cosa sono le meta-analisi

Un secondo aspetto che incoraggia alla cautela è che lo studio dell’Università di Leeds si differenzia da altri simili, che hanno dato risultati diversi in passato. Una meta-analisi tra ricerche sul rapporto fra depressione e dipendenza da internet ha evidenziato che tale relazione è talmente debole da essere irrilevante (spiega tra lo 0,02% e lo 0,03% del comportamento, nota Bell).

Le meta-analisi (che dovremmo applicare un po’ seriamente anche all’usabilità, prima o poi…) mettono in fila studi diversi, e fanno l’analisi statistica dei risultati aggregati (opportunamente trattati per renderli comparabili). Il fatto che un solo studio trovi un certo effetto e dieci altri no, è perfettamente possibile. Poiché le ricerche sono condotte con un intervallo di fiducia che di solito è del 95%, una volta su venti si troverà un falso positivo. Ripetendo ricerche nello stesso ambito più volte, prima o poi il risultato positivo arriverà, anche in assenza del fenomeno.

Poiché, secondo alcuni, le meta-analisi si collocano al punto più alto della catena di prove empiriche in ambito scientifico, non si può concludere che vi sia alcuna evidenza di una relazione (men che meno di una causalità: errore, questo, tutto giornalistico, perché lo studio dell’Università di Leeds non parla di causalità) fra l’uso di internet e la depressione.

Senza dimenticare che, per offrire un quadro più corretto del rapporto fra internet e depressione, sarebbe il caso di menzionare anche gli utilizzi terapeutici di internet. Ad esempio, questo studio che sottolinea che l’uso combinato di farmaci antidepressivi assieme ad una terapia cognitivo-comportamentale somministrata via computer è più efficace della sola cura farmacologica.

La realtà, come al solito, è più complessa di un titolo di giornale.

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