Intervista a Giacomo Mason

In occasione dell’uscita (qualche mese fa) del suo nuovo libro Intranet Information Architecture (qui su Amazon), ho pensato di fare qualche domanda Giacomo Mason su un argomento di cui non parliamo spesso su usabile.it, le intranet.

Giacomo è un Intranet designer che, dopo aver maturato un’importante esperienza dentro grosse aziende italiane, lavora come consulente per la progettazione di intranet aziendali. Contestualmente si occupa anche di formazione sui medesimi temi, ed è riconosciuto come uno dei principali esperti di intranet in Italia.

Il libro è un manuale sintetico e molto preciso sulle diverse sfide progettuali e sugli strumenti a disposizione dei progettisti nella realizzazione di intranet efficaci.

La prima cosa che ho pensato leggendolo, è: la progettazione di una intranet assomiglia dannatamente alla progettazione di un sito web (cosa che avevo pensato anche quando mi è capitato, alcuni anni fa, di lavorare a una intranet). Ma con delle differenze: l’utenza è interamente o quasi interamente nota.

Questo sembra un vantaggio. Tuttavia, lavorandoci, mi sono reso conto che entrano in gioco una serie di altri fattori che in altri progetti non ci sono: le dinamiche aziendali.

La prima domanda dunque è: corrisponde al vero questa impressione? O, per dirla in altre parole, quali somiglianze e quali differenze ci sono, o vantaggi e svantaggi, almeno secondo la tua esperienza, fra la progettazione di un ecosistema relativamente chiuso ma molto dinamico e con forte impatto sui processi interni come una intranet e un artefatto simile ma aperto verso un pubblico esterno (sia un sito, una app, un sistema interattivo più complesso)?

Il metodo è lo stesso, e il risultato finale può assomigliare in effetti a un normale sito web (uno di quelli con tantissimi contenuti) ma tutto quello che ci sta intorno cambia parecchio, e questo rende diversa la progettazione.

I dipendenti, ad esempio, sono il pubblico più difficile che esista, non solo perché costituiscono in genere un insieme disomogeneo (in azienda coesistono spesso anche 3 o 4 generazioni contemporaneamente, con diversi gradi di dimestichezza con il digitale) ma anche perché negli ambienti lavorativi ci troviamo di fronte a routine e rituali che creano una barriera al cambiamento: le persone spesso preferiscono proseguire con il vecchio-conosciuto-inefficiente piuttosto che adottare il nuovo-sconosciuto-funzionale. Questa resistenza non riguarda, ovviamente, solo gli ambienti lavorativi, ma in essi trova una sua giustificazione retorica: dobbiamo lavorare, e non abbiamo tempo per il “nuovo”.
Gli ambienti lavorativi sono attraversati, come tutti gli ambienti, da ”narrazioni unificanti”, da cornici di senso, e bisogna fare in modo che un progetto intranet trovi una collocazione all’interno di una di tali cornici (non necessariamente il “dobbiamo lavorare” ma in ogni caso in qualcosa che faccia parte del “paesaggio culturale” del momento in azienda).

Un altro elemento di differenza riguarda, ancora, le persone, questa volta dal punto di vista del coinvolgimento e della partecipazione attiva: progettare un servizio web esterno efficace e utile per le persone ci può far piacere, ma il nostro focus come progettisti restano i risultati di business: oggetti venduti, transazioni effettuate, efficienza misurata. Il coinvolgimento delle persone, il loro ruolo attivo, è solo uno strumento per ottenere questi risultati. Nel caso di un progetto intranet, invece, la partecipazione, il coinvolgimento, l’emancipazione e l’autonomia dei dipendenti sono un fine, oltre che un mezzo.
Questo rende le intranet progetti fortemente orientati all’HR, oltre che alla comunicazione o al miglioramento di alcuni processi.

Un terzo elemento differenziante sono le dinamiche organizzative: un’applicazione esterna vede in genere come referenti in azienda alcuni settori definiti (Comunicazione, Marketing, IT o un mix di queste figure), mentre una intranet, per sviluppare il suo potenziale, ha bisogno di tutta l’azienda: ci sono settori che ovviamente guidano il progetto (HR, IT, Comunicazione in genere), ma la intranet riguarda tutti. E questo complica non poco le cose.

Può una intranet contribuire all’evoluzione stessa di questi processi aziendali e di queste pratiche aziendali relativamente stratificate, a volte bloccanti e di difficile alterazione?

La intranet contribuisce certamente a cambiare pratiche aziendali stratificate e bloccanti, ma difficilmente può farlo da sola, come semplice variabile tecnologica: le persone sono molto brave ad “aggirare” le tecnologie se non percepiscono un vantaggio o se le vivono come una nuova minaccia alle loro routine. Sono necessari quindi anche altri ingredienti: supporto manageriale, accompagnamento al cambiamento e una strategia di progettazione condivisa

Oltre che un aggancio costante agli standard di design presenti all’esterno: non possiamo far vivere alle persone l’esperienza schizoide di un utilizzo all’esterno esterno dominato dalle UX fluide di Google, Facebook, Whatsapp e al contrario, una interazione con le applicazioni interne di basso, se non infimo livello.

Ecco, questo è un aspetto che si considera poco. Di fatto queste applicazioni definiscono lo standard, che definirei “modellante”, per le esperienze d’uso che diventano in breve l’aspettativa minima per i nostri utenti. Il che ci obbliga a una rincorsa perenne…

Sì. Dobbiamo quindi fornire un design che sia al passo con i tempi e con l’esperienza utente che le persone vivono quotidianamente. Il nostro compito di progettisti è contribuire ad aggiornare le aziende portando ed adattando al loro interno queste evoluzioni

E ci vuole, rassegnamoci, tanta pazienza e ostinazione. I processi aziendali non si cambiano dall’oggi al domani e bisogni fare i conti con tanti fattori di resistenza

Il libro è a mio parere adatto a tutti i progettisti digitali, anche a coloro che non sviluppano intranet, perché descrive, senza esplicitamente dire di farlo (lo si scopre un po’ verso la fine, diciamo) un vero processo di User Experience Design orientato all’utente. Altri, tra cui io, lo chiamerebbero Human Centred Design. Perché ritieni che questo processo orientato all’utente sia utile in una intranet?

Lavorare con gli utenti è indispensabile per vari motivi, innanzitutto per fare abbassare la cresta agli stessi progettisti: mi ricordo una collega che aiutavo nel gestire una sezione intranet con informazioni sulla concorrenza (ambito telco), dedicata alle persone del call center dell’azienda. La cosa è andata avanti liscia per parecchi mesi, fino a che la collega si è decisa ad andare fisicamente dai destinatari a vedere la situazione. Quando è tornata mi ha detto, un po’ scoraggiata “dobbiamo cambiare tutto”.
Ecco, lavorare con le persone ti aiuta a “cambiare tutto”. E poi c’è il fatto che se non coinvolgiamo le persone sarà molto più difficile superare le resistenze che, come ho detto, vanno messe in conto sempre.

Coinvolgere gli utenti non è solo più efficace ma anche più interessante (e divertente): non dobbiamo più solo “inventare” (posto che si possa isolare questa funzione nel processo di design) ma piuttosto ricombinare, tradurre, trasferire da un dominio ad un altro, affinare progressivamente.

Il nostro ruolo di progettisti è quello di fornire un know how modulare, come dei pezzi di un Lego che le persone useranno per costruire il proprio ambiente.

Nel libro mi concentro sull’architettura informativa, ma questo processo può e deve essere esteso a tutti gli aspetti della intranet: contenuti, design, interazioni, funzionalità. Non solo: possiamo farlo uscire dall’ambito intranet e dall’ambito digitale in genere: possiamo usarlo per progettare la formazione, i luoghi di lavoro, il welfare aziendale, il sistema organizzativo. Ci sono molti esperimenti in questi senso in giro per il mondo.

Tu proponi di costruire l’architettura informativa attraverso processi collaborativi con i dipendenti e i dirigenti, e in seguito di sottoporla a una serie di test empirici per valutarne la rispondenza alle necessità e arrivare a un fine-tuning. Questo modo di procedere, con il coinvolgimento massiccio del personale, incontra ancora qualche difficoltà in alcuni tipi di aziende, o è stato ormai digerito? In caso, quali leve possono essere utilizzate per spiegare i benefici di un approccio del genere, rispetto, magari, al privilegiare soprattutto le decisioni di chi ritiene di conoscere già le risposte o addirittura che l’intranet dovrebbe contribuire a imporre una visione aziendale calata dall’alto?

Se procediamo in modo rigoroso e trasparente le aziende sono in qualche modo “costrette” a seguirti. Di fronte ad un test dell’architettura che rivela problemi su delle aree è più difficile opporre resistenza.

Anche se questo avviene lo stesso, intendiamoci: i dirigenti aziendali sono dei campioni nel produrre ipotesi ad hoc per difendere il “nucleo metafisico” delle loro teorie, per parafrasare il filosofo della scienza Imre Lakatos. E allora viene fuori che un certo risultato che emerge dal lavoro con le persone non va considerato perché… (inserite motivazioni aziendali a piacere).

Non è un processo lineare, non siamo al CERN di Ginevra (e, chissà, magari anche lì, a ben guardare, troveremmo decisioni irrazionali e contorsioni “politiche”…)

Onestamente lo credo anch’io…

Tuttavia, quando i risultati cominciano ad arrivare, gli animi si rasserenano e le resistenze vengono meno. Il consiglio quindi è cominciare sempre con un ambito ristretto, nel quale ottenere rapidamente un risultato positivo, per poi estedendere il metodo a tutto il sistema.

Tu hai un’esperienza ventennale. Come sono cambiate le aziende e le culture aziendali in questi anni, se lo sono? Ritieni che sia più facile far accettare una logica empirica, iterativa e orientata all’utente, rispetto a un tempo, o esistono ancora resistenze, o, peggio forme di “adesione di facciata”?

Le cose sono cambiate moltissimo: oggi puoi trovare responsabili del personale che ti superano a sinistra nelle proposte (recentemente uno di loro ha proposto un sistema di valutazione della documentazione di marketing da parte dei venditori sul modello di Trip Advisor).

Oggi sono le aziende stesse che chiedono questi metodi, anche se ovviamente ci sono differenze nella sensibilità e nella cultura di ogni organizzazione e anche dei singoli settori: devo purtroppo rilevare, a questo riguardo, un certo arroccamento dei settori IT, che oggi sono, mi duole ammetterlo, i settori nei quali incontriamo le maggiori resistenze, e lascio ai lettori il compito di capire il perché.

Il libro su Amazon.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *